Berto40: Carlo Berto, una vita da maestro tappezziere

Intervistarlo potrebbe voler dire dedicare molto tempo a cercare nel passato storie e aneddoti, compresi quelli sul suo nome. Ma lui non ama chiacchierare. Al contrario ama il capitonné, è diventato uno tra i migliori tappezzieri della Brianza, ha una carriera alle spalle di quasi sessant’anni e le sue mani trasformano in bellezza qualsiasi cosa tocchino. Auguriamo a tutti di vederle in azione, perché è uno spettacolo raro e prezioso. Il suo nome è Carlo (Giorgio) Berto, co-fondatore dell’azienda che ha festeggiato #Berto40.

Nome: Carlo (Giorgio) Berto

Professione: tappezziere da 59 anni

Segni particolari: un grandissimo maestro tappezziere, silenzioso e sorridente.

Anni di attività alla BertO: 41

Carlo Berto, tappezzeria sartoriale

La prima domanda è: Giorgio o Carlo. Come dobbiamo chiamarla?
Il mio nome ufficiale è Carlo, ma in casa mi hanno sempre chiamato Giorgio. Ho saputo di chiamarmi Carlo solo quando ho iniziato la scuola. È successo che quando sono nato, mio padre Primo al momento della registrazione ha dato un nome diverso da quello scelto da mia madre. Lei aveva scelto Giorgio e lui, non so se per confusione, emozione o cos’altro, ha registrato Carlo.
Ancora oggi mi chiamano tutti Giorgio.

Proviamo ad individuare alcuni momenti del prima e dopo la nascita della BertO.

Gli esordi: dal Veneto alla Brianza.
Avevo quattro anni quando ci siamo trasferiti qui e mio fratello Ante (Fioravante Berto, co-fondatore dell’azienda insieme a Carlo Berto n.d.r.) ne aveva uno. Mio padre era agricoltore. In Veneto lavorava la terra ma aveva poche possibilità di sviluppo. Così si è trasferito qui. Come mai a Meda non lo so. Non avevamo parenti ne amici qui, ma già allora la Brianza aveva la fama di un territorio nel quale si lavorava sodo e bene. Ci hanno raggiunto altri parenti con il passare degli anni. Mio papà, arrivato qui, ha subito trovato lavoro alla Bossi, un grande stabilimento. Poi ha fatto di tutto: vendeva acqua e vino, ma la sua grande forza era il commercio. Non aveva paura di nessuno, come Ante. Gli somigliava molto: grandi nel commercio e senza paura. Mio padre ha poi aperto una trattoria in un locale al piano terra della sua casa. Quando negli anni sessanta ha visto che i figli avevano preso la loro strada, l’ha chiusa e ci ha sempre dato una mano.

Quando ha iniziato a fare il tappezziere?
Avevo tredici anni. Mi ricordo ancora la bottega. Lavoravo per il papà di Paolo Colombo, alle cascine di Meda. Nel seminterrato c’era un laboratorio. Erano due fratelli, poi c’ero io. Facevamo materassi e molte sedie imbottite, ho imparato a fare le imbottiture e il capitonnè. Sono rimasto fino a che ho compiuto quindici anni, poi sono andato a lavorare per l’industria Minotti. Ho visto il passaggio dal primo laboratorio al secondo. All’epoca lavoravano già settanta persone per loro. Sono stato con loro circa cinque anni, poi qualcuno mi ha detto che il Colzani cercava un bravo tappezziere che sapesse fare lavorazioni capitonnè ma anche tutto il resto. Ho fatto la prova e mi ha tenuto subito. Colzani aveva la casa davanti e il capannone dietro. A Meda il piano regolatore era questo. Ci sono rimasto fino a quando sono andato a militare. Per rimanere allenato, in quel periodo rifacevo gli interni delle macchine al Maresciallo, al Colonnello e al cuoco. Tornavo a casa in congedo, realizzavo gli interni e li riconsegnavo al mio rientro in caserma. Mi volevano bene. Si era sparsa la voce anche lì. A 24 anni sapevo già fare moltissimo. Tornato, ho ripreso a lavorare da lui e la sera mi portavo a casa il lavoro: sedie, poltroncine da imbottire, capitonnè da fare. Dopo un anno sono rimasto a casa. Ho iniziato a lavorare da solo. Lo stesso Colzani mi dava da lavorare. Poi la voce si è sparsa e le richieste dalle altre aziende sono aumentate.

La storia tappezziera della famiglia Berto nasce con lei?
Io sono stato il primo tappezziere della famiglia. Mio padre faceva il commerciante, mio fratello l’intagliatore poi Ante ha iniziato a fare il tappezziere in un’altra bottega. Ci siamo ritrovati a lavorare insieme dal Colzani. Quando anche Ante, di ritorno dal militare, è rimasto a casa abbiamo iniziato a lavorare insieme nel seminterrato della casa di mio padre.

Il militare vi ha uniti.
Non direi. Io ero tappezziere, lui pure e non poteva che andare così. Ma lui oltre ad essere un tappezziere, era fin da subito un bravo commerciante come nostro padre Primo, era molto bravo. Erano gli anni Sessanta, più o meno alla metà. Con la mia famiglia avevamo costruito la casa e noi lavoravamo in cantina. Abbiamo iniziato lì a realizzare le poltrone e i divani delle grandi aziende.

1974 nasce ufficialmente la BertO. Come?
In realtà siamo passati dall’essere ditte individuali a costituire la società. Nel ’74 nasce la ditta dei Fratelli Berto ma nella realtà i fratelli lavoravano insieme da molti anni. Ci siamo allargati, sono arrivati altri tappezzieri a lavorare con noi. Il primo è stato Flavio (Cairoli n.d.r.).

Com’era fare il tappezziere in quegli anni e avere una ditta propria?
Era entusiasmante, molto bello. Flavio era il fratello acquisito (ride). C’era molta armonia, capitava di lavorare fino alle undici di sera. Non tutte le sere ma quasi. C’era anche Luigi, Carluccio, Fabrizio. Il clima era molto familiare, esattamente come adesso. Mio padre ci dava una mano. Andava in banca, faceva il giro dei fornitori. Lo conoscevano tutti. Suonava anche nella banda.
Il laboratorio si è poi trasferito qui, dove siamo ora. Quando l’abbiamo costruito è stata una soddisfazione enorme. Ci siamo sentiti dei signori. E’ stato un traguardo molto importanze, frutto di tanti sacrifici e tanta soddisfazione. Oggi, se vieni qui in certi giorni, per passare da una parte all’altra del laboratorio, ti conviene uscire e passare dal cortile tanto è pieno.

Ricapitolando, quanti laboratori “BertO” ci sono stati?
Tre. Il primo nelle vecchie case di mio padre. Il secondo nelle case nuove e noi lavoravamo nel seminterrato in una grande stanza. Entrambi avevano la casa e la bottega con confini non ben definiti. Il terzo è questo.

Il ricordo più bello del primo laboratorio?
Il lavoro.

Del secondo e del terzo?
Il lavoro che aumentava. In quest’ultimo è cambiato sicuramente qualcosa. La quantità di lavoro, l’organizzazione, il lavoro che Filippo ha saputo sviluppare molto bene. Filippo è il presente e l’avvenire dell’azienda.

Tappezzieri conto terzi e vendite ai privati.
Non è stato immediato il passaggio, ma eravamo parte del consorzio di Meda fondato insieme ad altre aziende e da lì abbiamo iniziato a vendere anche ai privati e girare qualche fiera: Monza, Milano, Erba. Un anno erano capitate due fiere in contemporanea così io e Nicoletta – che è qui da trent’anni – siamo andati da una parte e Ante con Loredana dall’altra. Avevamo una modellistica che piaceva ai clienti. Il consorzio aveva anche una piccola esposizione e noi sopra al laboratorio una seconda.

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Carlo Berto lavora al fusto del DivanoXManagua insieme ai falegnami della Bottega Anzani

Il primo divano che ha fatto, lo ricorda?
Ho iniziato a farli e finirli quando lavoravo alla Minotti, a quindici anni. Iniziarli significava proprio partire da zero: tagliare, cucire, imbottire. La Minotti è sempre stata un’azienda che guardava al moderno; già all’epoca usavano il poliuretano espanso. Dal Colzani invece si facevano soprattutto divani in stile con tanto di molle e chiodi. Non so quante martellate avrò preso sul pollice. Molti dei modelli che abbiamo iniziato a realizzare io e Ante sono ancora in catalogo e continuiamo a realizzarli. Uno di questi è il divano Condor.

L’ultimo?
Il rifacimento di una poltrona. Abbiamo realizzato nuovi cuscini di seduta e schienale con capitonnè cucito sulle fasce.

Ho visto con che cura lo rifiniva. Addirittura sembrava quasi stesse pettinando la pelle.
Appena tirata, la pelle ha ancora bisogno di assestarsi. Per lisciare le pieghe, le scaldiamo con uno speciale phon che si usa in tappezzeria.

Potrebbe quantificare i divani che ha realizzato in tutta la sua carriera? In media quanti al giorno e per quanti giorni alla settimana?
Un divano al giorno per 6 giorni alla settimana. Da quando ho diciassette anni.

Li conto io. Sono 17.160 divani.
(ride) Mamma mia.

Il momento più bello per l’azienda, si ricorda qual è?
La festa dei quarant’anni è stata molto bella. Non me la immaginavo così. Tutti gli invitati e la gente che c’era. Ricordare le persone, il lavoro.

E quello più difficile o faticoso?
Non abbiamo mai avuto momenti di grande crisi. Non c’è mai stato niente che il lavoro non potesse far superare. Forse il periodo più duro è stato quando sono stato ricoverato a Pavia per il cuore e non ho potuto lavorare (sorride).

Ci racconta di quando Filippo è arrivato in azienda?
Era molto diverso rispetto ad oggi. Ha imparato molto da suo papà, l’ha seguito e oggi è capace di mandare avanti un’azienda e molto bene. Non è mica facile con tutti i problemi che ci sono. Anzi, è proprio bravo.

La BertO tra dieci anni, come se l’immagina?
Migliore. Oggi è già al top e spero che continui così. I giovani ci sono, ma quando abbiamo iniziato noi c’erano tanti ragazzi che volevano fare i tappezzieri. Oggi sono di meno, è difficile trovare talento, motivazione e voglia di imparare.

Carlo Berto insieme al nipote nella Tappezzeria Sartoriale BertO

Molti collaboratori hanno detto di aver imparato da lei.

Io ho imparato molto da loro. Sono tutti bravi ragazzi.

Filippo, a proposito di Divanoxmanagua, spesso l’ha citata così: “abbiamo bisogno di una nuova classe di tappezzieri, giovani e bravi. Altrimenti noi tra 50 anni saremo costretti a far lavorare mio zio e Flavio con la maschera dell’ossigeno”. Come la vede?
(ride) Le porte del laboratorio non sono mai state veramente chiuse. Di giovani ce ne sono. Chi sa fare questo mestiere il lavoro lo troverà sempre. Impara il mestiere e mettilo da parte, si dice così no? Bisogna trovarne, altrimenti la vedo grigia per la tappezzeria.

L’abbiamo vista anche indossare una maglia “Berto Salotti” durante un torneo di calcio.
Mi è sempre piaciuto giocare a pallone. Il rapporto tra sport e aziende in Brianza è sempre stato forte. Anche la Minotti organizzava tornei interni all’azienda. La Flexform con il basket è andata dappertutto. La Cassina anche. Noi avevamo la nostra squadra di calcetto, giocavano anche Flavio, Luigi e Ante. Io giocavo in porta e la mia maglia era diversa a tutte le altre. Anche con il ciclismo abbiamo fatto delle belle cose. Una volta abbiamo organizzato una corsa con 600 partecipanti. Ci sono le prove.
Carlo Berto negli anni '70

Carlo Berto e il calcio

BertO e il ciclismo

Adesso qualche domandina semplice che non posso non farle. Il suo divano preferito?
Il divano Condor, il preferito mio e di Flavio, ho letto la sua intervista. Ce l’ho in casa. Ne facevamo cinquanta al mese. Li facevamo ad occhi chiusi. Avevamo due presse per tagliare la pelle. Le abbiamo poi buttate via perché abbiamo iniziato a lavorare su misura e non era più possibile usarle.

Il divano più difficile da realizzare? 
Sempre lui, il DivanoXmanagua. Un divano difficilissimo da realizzare. Con il primo eravamo in 200, ma il secondo l’ho fatto da solo. Difficile proprio, non per il capitonnè in sè ma è proprio complesso da realizzare tenendo conto di tutte le sue parti: proporzioni, piedini, dettagli, cuciture.

Carlo Berto lavora al secondo DivanoxManagua

Più che un ringraziamento ora manca una promessa: Giorgio, continui a raccontarci i “punti fermi” di questa azienda. Alla prossima intervista?
Alla prossima

Grazie Giorgio!

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