Brianza 2030: non più nani in giardino e Mercedes? It’s a start…

Freschi dai lavori dell’incontro #futuroartigianobrianza di Meda, dove abbiamo provato ad estrarre alcune tesi importanti per il futuro del nostro territorio, ci ritroviamo oggi a parlare delle sfide lanciate da altri due appuntamenti inportanti: “Brianza 2030” e “It’s a start”.

Mi pare che i concetti che possono trasformare questo territorio, delineati appunto nel primo dei due eventi, si confermino tali anche alla luce dei lavori successivi, di Brianza 2030. Li riprendiamo brevemente, si tratta di:

  1. Aggiornare la parola – quindi il concetto – di artigianato: toglierle la polvere dell’abitudine e riconoscerle la vocazione tecnologica che già contraddistingue i più avanzati tra noi (un compito per la scuola, la famiglia, il mondo istituzionale e dei media)
  2. Ricollegare il lavoro artigiano all’innovazione, e smettere di vederlo come “un nonno” votato unicamente alla custodia della tradizione”
  3. Costruire un modello di nuova collaborazione con l’industria, macrosoggetto che non è antitetico al lavoro artigiano, ma ne costituisce in realtà il miglior alleato strategico

Analogico Digitale, il progetto innovativo che si è concretizzato nella mostra presentata al FuoriSalone di Milano questa primavera, ha dimostrato – con quella realtà pragmatica che piace a noi brianzoli – che siamo all’inizio di un’evoluzione radicale, alla quale dobbiamo essere pronti… da ieri mattina.

Venendo ora all’opportunità che mi è stata offerta di partecipare a due incontri successivi, li descrivo brevemente per chi non li avesse presenti:

“Brianza 2030” è stato un evento dalla camera di Commercio di Monza e Brianza, in data 22 giugno 2012, per presentare i risultati della ricerca condotti per indagare il mutamento demografico e le trasformazioni del tessuto sociale della Brianza.
Ha visto interventi di rilievo sulle trasformazioni del modello imprenditoriale della Brianza, sulla sfida dei saperi tradizionali e della tecnologia Web 2.0.
Alla tavola rotonda ho partecipato anche io, e si è discusso di scenari futuri possibili.

Qui il programma di “Brianza 2030”.

Cercherò, nelle righe che seguono, di riportare sinteticamente gli spunti di interesse principali.

Senz’altro la ricerca di Aaster, che ha fornito un panorama esaustivo sul lavoro in progress, e in particolare sui suoi aspetti metodologici (“i modellini non tengono più”), che hanno coinvolto 1.000 imprese delle quattro filiere produttive cardine dell’economia locale: mobile, meccanica, high-tech e costruzioni.

Assolutamente di rilievo, poi, la relazione di Aldo Bonomi – mio personale punto di riferimento da oltre 10 anni per la sensibilità con la quale interpreta la città, nonché autore del volume “La città infinita” – focalizzata su quell’ecosistema che va da Orio al Serio a Malpensa, riconoscibile per un mix unico al mondo di capannoni, Mercedes e nanetti in giardino… bene: Bonomi ci ha sorpreso dicendoci che “la città infinita è finita”.

Insomma: sostituiamo i nanetti con le cose da fare, che sono tante e tutte nuove.

L’ importante intervento di Rullani, infine, ha riportato tutti alla necessità di un cambiamento radicale dedicato all’innovazione, per cui è necessario concentrarsi maggiormente sulla rete e sulle logiche di questo approccio, con innovazione estesa in filiere più ampie.

Il tutto all’interno di scenari sociali, economici e di consumo in rapido cambiamento.

Tutti questi concetti sono secondo me rilevanti, ma – se posso permettermi una nota aggiuntiva – vorrei dire anche che tutto questo vivrà solo se verrà rafforzato e arricchito di nuovo senso il legame del territorio con il lavoro artigiano, parte imprescindibile del DNA brianzolo.

Quindi:

“Nuovi modelli di consumo, nuovi modelli di produzione, nuovi atteggiamenti collaborativi si stanno per imporre e il lavoro artigiano della Brianza può essere al centro di tutto questo. Anzi: *deve* essere al centro di tutto questo.”

Questa tesi, che continuaiamo a condividere, deve, appunto, esser supportata da azioni importanti, direi quasi strutturali.

Venerdì 22 giugno 2012, all’Urban Center di Monza, si è poi tenuto  “It’s a start!” opportunità per imprese culturali e creative”, primo appuntamento con cui il Distretto Culturale Evoluto di Monza e Brianza, in collaborazione con Camera di Commercio di Monza e Brianza e Regione Lombardia.

Obiettivo di “It’s a start!” è la promozione delle startup creative, consentendo agli studenti, imprenditori, aspiranti imprenditori e professionisti muniti di buone idee di “toccare con mano” i servizi che il Distretto sta progettando per loro, grazie all’elevator pitch, il caratteristico incontro di pochi istanti decisivi con un importante investitore.

Le idee imprenditoriali più originali vengono premiate con ore di consulenza gratuita messe in palio dal Distretto e con la possibilità di partecipare ai creative-camps del progetto “Creative Camp Alps” – CCAlps – anche all’estero. I “Creative Camps” sono progetti pilota organizzati nei vari paesi partner dell’iniziativa che – attraverso laboratori e workshop – daranno ad imprese culturali e creative, PMI, istituzioni locali e Università l’opportunità di lavorare insieme per sviluppare idee creative e realizzare prodotti e servizi innovativi.

“It’s a start!” ha visto anche la presenza di ospiti internazionali quali Luigi Ferrara, Director School of Design and Institute Without Boundaries presso il George Brown College (Canada), Carsten Schierenbeck, Policy Officer Unità Innovazione Industriale – DG Industria Comunità Europea, e Oliver Wagner, Innovation & Technology Transfer Salzburg (Austria).

Qui il programma di “It’s a Start!”.

In quest’altro importante incontro, dove ho avtuo l’onore di sedere in giuria, ho potuto incontrare una platea di giovani “startupper” molto interessanti e innovativi (da seguire su Twitter i brillanti esempi di @20lines e @giovami) con idee pronte per il mercato globale ma… spesso slegate dalla realtà produttiva del territorio.

Perché nel lavoro di questi promettenti giovani non si vede traccia di Manifattura né di lavoro artigiano?

Se siamo così convinti – come siamo – che il futuro sarà artigiano, credo si debba fare ancora molto lavoro, a partire dalle scuole, dall’educazione e della formazione.

Siamo qui anche per fare questo!

5 commenti su “Brianza 2030: non più nani in giardino e Mercedes? It’s a start…”

  1. Federico Fratta

    Personalmente ritengo che ci sia una grandissima speculazione mediatica per usare il termine startup (termine di moda e di cui tutti si appropriano per guadagnare visibilità) un pò ovunque.

    Startup significa “avviamento” ma non uno qualunque: se apro un agriturismo o un hotel non faccio startup ma impresa.

    I concetti cardine sono:

    a) Risoluzione di un problema ad un gruppo di utenti (possibilmente vasto)
    b) Scalabilità

    Il lavoro artigiano/manifatturiero, per sua natura, non è un lavoro industrializzabile o serializzabile perchè perderebbe la sua peculiarità: nell’artigianato viene pagato il trinomio tempo/qualità/esperienza immessi nel prodotto.

    Un esempio? La catena di gelaterie Grom.

    Non è un’impresa artigiana ma una vera e propria industria del gelato con un hype e un marketing pazzesco che ha successo.
    Grom è mai stata una startup? Non ne sono sicuro. Il loro business nasce per contrastare il gelato industriale (derivante dalle polveri), prova ne sia che il loro modello di saturazione geografica si tiene bene alla larga da gelaterie artigianali.

    Detto ciò, ovviamente sono stato a It’s a start e sono anche fuggito rapidamente: molto fumo e poco arrosto.
    Non mi aspetto affatto passi importanti in Brianza con queste premesse.

    1. certo, ma a questo punto dovremmo fermarci a riflettere anche sul modello di sviluppo e crescita che desideriamo veramente: la finanza delle banche o dei ricchi speculatori già sperimentata oppure un futuro con forti radici sul territorio del sapere e sapere fare e in grado di crescere con qualità e innovazione? in Brianza vedo, in questo ambito, molti spazi di crescita, magari poco scalabili, ma più sostenibili. Che ne pensi? Filippo Berto

      1. Federico Fratta

        Onestamente credo che l’errore stia nel cercare di accostare artigianato e innovazione.

        Se parliamo di organizzazione (strumentale e temporale) degli artigiani e vediamo in questo un fenomeno innovativo, allora certo c’è spazio perchè ciò avvenga: ad esempio l’artigiano che, anziché vendere i suoi prodotti dalla bottega, possa vendere online o tramite i social network (o ancora utilizzare un software saas per i cicli di fatturazione/contabilità).

        Questo significa collegare la tradizione al digitale, magari creando un portale ad hoc che non solo dia visibilità ma che valorizzi l’artigianato.

        Però l’aspetto meramente produttivo deve necessariamente richiedere tempo, che è poi ciò che si paga quando si decide di comprare un mobile di alta falegnameria e non un componibile Ikea (industriale e serializzato).

        Sono d’accordo che sarebbe auspicabile un sistema più rispettoso dell’uomo, ma per fare questo non serve innovazione ma un controllore severo che non permetta alla “globalizzazione” di distruggere le tradizioni e mantenere una qualità della vita sostenibile appunto.

        Parliamo di tessile? Quante aziende sono in crisi per colpa delle migliaia di competitor cinesi che lavorano anche sul suolo nazionale (Prato e dintorni ad esempio) in barba alle più elementari normative in materia di sicurezza o igiene che invece le omologhe italiane sono costrette a rispettare?

        Perchè tutti delocalizzano in altri Paesi impoverendo il territorio? Insomma, il problema è sistemico.

        In questo scenario poi, permettimi, ma da imprenditore e startupper vedere che milioni di euro di fondi vengano utilizzati per ripistinare degli edifici secolari (e le Belle Arti dove sono?) costituendo in uno di questi un incubatore (l’ennesimo, come se non ve ne fossero abbastanza in Italia) e lavare l’operazione con il lavacro trendy delle startup mi fa sorridere.

        Sarebbe stato molto più sensato costituire una mini sgr immettendo subito liquidità nelle imprese esistenti e/o contattare i professionisti di Venture Capital dicendo “Abbiamo questo portafoglio, come lo utilizziamo?”.

        E invece no, reinventiamo l’acqua calda. 🙂

  2. Ottima considerazione. Questo è un tema fortissimo.
    E la tua tesi è supportata dal fatto che fino ad oggi è stato così.
    Non credo in ogni caso che siano due mondi così nettamente separati e indipendenti. Esistono già di fatto innumerevoli interazioni tra teconologia e mondo della produzione. Certo i ritmi di crescita potrebbero essere differenti, e forse questo è un punto di forza, e non escluderei a priori la possibilità di immaginare la nascita nuove imprese, capaci di crescere e innovare legate alla manifattura e al lavoro artigiano. Proprio perché il mercato oggi è già pronto a recepire produzioni su misura, personalizzate e slegate dalla produzione di massa ma connotate anche dall’utilizzo di nuove teconologie. Che ne dici?
    Filippo Berto

  3. Federico Fratta

    La risposta alla domanda e’ insita nella corretta accezione di startup.
    La manifattura o l’artigianato non possono essere l’oggetto di una startup perché non hanno scalabilità.

    Startup != Impresa

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