“Ho voluto cimentarmi realizzando, senza voler dare nessun valore accademico, ciò che è sempre rato il mio desiderio: scrivere il nostro dialetto medese sotto tutte le sue forme, a 360 gradi, rimarcando il fatto che oggi più che mai esiste il pericolo che tutto possa andare perduto per sempre.
L’intento è quello di lasciare un segno, una testimonianza tangibile di ciò che era la lingua dei nostri padri.”
Enrico è venuto a trovarci alla fine di dicembre, regalandoci una copia del libro. Abbiamo approfittato per fargli qualche domanda e capire quale fosse la sua urgenza.
Berto Salotti: Perchè hai voluto questo libro?
Enrico Galimberti: E’ nato quasi per caso. Quando lavoravo a Milano, incontravo sul treno molti pendolari medesi. Siamo stati per anni la stessa “combricola”. Per anni ci siamo scambiati i proverbi, i termini e le massime; su un foglio a protocollo ho iniziato a scrivere i primi. Quel foglio mi ha seguito per 15 anni.
Berto Salotti: A chi vorrebbe far leggere questo libro?
Enrico Galimberti: I nostri figli scrivono e parlano il dialetto. I nostri nipoti lo capiscono e i loro figli non lo capiranno e non lo parleranno. Questo libro è per loro.
Crediamo molto nel progetto di Enrico e siamo molto contenti di aver contribuito alla sua realizzazione.
Sfogliandolo, toviamo le parole della nostra storia oltre che dei nostri padri.
E il nostro presente:
Ul temp l’è vet nisùnch, ul laurà el vedèn tùcc.
(Il tempo non lo vede nessuno, il risultato del lavoro lo vedono tutti. p. 66)
Che cos’è, questo, se non l’inizio del crowdcrafting?
Per chiunque volesse consultarlo, sono disponibili alcune copie nello showroom di Meda.
Scrivi a [email protected] oppure 0362-1851425.