La cena di solidarietà e lavoro artigiano #divanoXmanagua, prevista per lunedì 27/5 a Monza, sta coinvolgendo personaggi di alto livello in vari settori, che hanno ravvisato nella nostra piccola-grande idea motivo sufficiente per regalarci un po’ del loro prezioso tempo.
Tra essi, la giornalista economica Mariangela Pira, conduttrice su Class Cnbc di Caffé Affari, Desk China e Esteri News, autrice del volume ‘La nuova rivoluzione cinese’ (Hoepli) e coautore del forum di politica estera Caffè Geopolitico.
Nonostante un’agenda davvero fitta, Mariangela ha acconsentito con generosità ad essere con noi lunedì sera.
Per iniziare a presentarvela, abbiamo pensato di rivolgerle qualche domanda, sui temi che ci riguardano:
Berto Salotti:
Gentile Mariangela, mentre ti ringraziamo per aver accettato di moderare la serata di divanoXmanagua, è troppo forte la tentazione di chiedere a una giornalista esperta di temi economici come è visto nel mondo il lavoro artigiano italiano, la manifattura.
Mariangela Pira:
È visto positivamente. Italia e Made in Italy sono sinonimo di qualità.
Le cinesi che indossano una scarpa italiana per esempio, lo fanno come se questa fosse uno status symbol.
Così nel design, nell’arredamento, in tutte le cose.
Il punto e’ che con la globalizzazione, purtroppo, piccolo non è bello e in grandi mercati dove si sente molto la competizione questo traspare chiaramente.
Occorrerebbe fare sistema, così come fanno Germania e Francia, ed essere tutti sulla stessa linea.
Invece questo non accade in Italia. Anzi. Molte PMI, nonostante producano oggetti di qualità, fanno fatica ad emergere all estero.
BS:
DivanoXmanagua è un’idea che viene da una PMI, che ha deciso di scommettere sui valori del lavoro legato al territorio. Come giudichi questa scelta, viste anche le news che arrivano dagli USA, dove sembra che Obama stia riportando nei confini nazionali il lavoro manifatturiero?
MP:
Trovo sia una bellissima idea.
Anzitutto per la finalità, sebbene sia banale dirlo. Ma soprattutto perché si da’ valore al territorio. Io penso che un’azienda di successo non debba essere tanto global ma glocal. Ovvero portare nel mondo, quando va fuori, e a casa sua, se rimane, i valori che la rendono l’azienda che è.
La tendenza “a rientrare”, invece, che vede protagoniste anche alcune aziende italiane, la sto percependo chiaramente anche io.
In molti trovano che il costo del lavoro, che sta salendo molto anche in Asia, non sia più così allettante da giustificare una produzione all estero.
Devo dire però che è molto limitante pensare a paesi come la Cina solo come piattaforma di esportazione. Penso invece si debba guadare a loro come un mercato talmente grande dal punto di vista dei consumi da essere per forza allettante.
Non per tutti, ma sicuramente per chi produce cose qualitativamente elevate e che fanno gola a quelle popolazioni. Pensiamo solo a cosa significa, in un paese da un miliardo e 300 milioni di persone, avere una quota di mercato dello 0.1%
BS:
Sui media si parla molto di cucina, grazie a trasmissioni che hanno reso popolare e attrattiva la figura dei cuochi. Da “insider” di questo mondo, come reagiresti se ti proponessero un reality show sul lavoro artigiano?
MP:
Dove devo firmare? 🙂 Io penso che i reality che insegnano qualcosa, per es. le trasmissioni di cucina, appunto, o The Apprentice, siano delle belle opportunità, anche per imparare. Mia sorella l’altro giorno ha cucinato i calamari ripieni dopo averli visti su Masterchef…
Ma sono occasioni che vanno anche sfruttate da parte del professionista, dell’imprenditore che si rende conto di come il suo settore non sia percepito al meglio.
L’idea di un reality potrebbe in questo caso essere d’aiuto nel rivitalizzarlo.