10 risposte per un “Futuro Artigiano” con Stefano Micelli.

Abbiamo già detto come la lettura di Futuro Artigiano, il bel saggio di Stefano Micelli, ci abbia affascinato e interessato.

Davvero una visione che si intreccia con il nostro modo di creare valore, basato sul lavoro delle mani fin dal nostro primo giorno di lavoro, nel 1974.

Il contatto con il prof. Micelli (che insegna all’Università di Venezia e concentra la sua attività di ricerca sulle trasformazioni del sistema industriale italiano con particolare attenzione al tema della competitività della piccola media impresa) si è poi evoluto, grazie all’iniziativa di far lavorare presso Berto Salotti un gruppo di suoi studenti presso di noi a Meda, in modo che potessero “respirare sul serio” l’atmosfera di un’azienda artigiana, per un periodo prolungato e significativo.

Infine, possiamo certamente contare l’approccio di Micelli tra le varie ispirazioni che hanno portato alla nostra strategia di comunicazione: l’insieme di video, contenuti e conversazioni compresi in #percheberto.

Con percheberto continuiamo, infatti, a valorizzare quello che Micelli ha scritto proprio sotto il titolo del suo libro, in copertina:

L’innovazione nelle mani degli italiani.

Tutto questo ci ha fatto venir ancora più voglia di approfondire il discorso, e quale strumento migliore di una bella intervista?

Partiamo dunque 🙂

Intervista a Stefano Micelli

1.
Berto SalottiDopo i dovuti ringraziamenti per la disponibilità, caro Stefano, ti chiediamo subito… perché mai improvvisamente l’innovazione passa dalle mani degli italiani? Perché ora e non 10 anni fa?

Stefano Micelli: L’innovazione è sempre passata dal fare: oggi ce ne accorgiamo di nuovo perché guardiamo diversamente a fenomeni economici e sociali che sono sempre di fronte ai nostri occhi. Negli ultimi quindici anni abbiamo abbracciato l’idea che l’innovazione passasse solo attraverso la ricerca scientifica e la sua traduzione in brevetti industriali. Non è così. L’innovazione passa anche dal fare. Nessuno vuole mettere in secondo piano l’investimento in ricerca. Semplicemente dobbiamo tenere presente che senza la dimensione del fare l’innovazione non decolla. Questa dimensione l’abbiamo sottostimata in modo un po’ colpevole perché in realtà è uno dei punti di forza del nostro paese.

2.
BS: Come sei arrivato a questo libro? Quale percorso di studio e quali incontri umani ti hanno fatto elaborare queste tesi?

SM: Una decina d’anni della mia vita li ho passati a studiare i distretti industriali e la trasformazione del modello competitivo del Made in Italy. E’ stato uno studio interessante perché ho potuto guardare da vicino la trasformazione del nostro modo di fare impresa. Proprio perché l’ho seguito nel tempo è stata molto chiara l’invarianza di alcuni elementi. E uno di questi è proprio il saper fare di matrice artigianale, che oggi sempre di più si sposa con tecniche manageriali, marketing, ricerca; ma che rimane una costante di fondo.

3.
BS: Molti accostano il tuo libro all’americano “L’uomo artigiano” di Robert Sennett: il caso italiano presenta analogie con l’americano?

SM: Quello di Sennett è un libro di matrice sociologica, con qualche passaggio filosofico. Parla dell’uomo artigiano mettendo in evidenza il suo ruolo nella cultura occidentale, le sue virtù (molte) e i suoi limiti. Io sono un economista e guardo al lavoro artigiano da un altro punto di vista: mi chiedo come il lavoro artigiano può rendere competitivo il nostro sistema manifatturiero in un economia globale, sia che si parli di piccola impresa che di grandi marchi affermati. Sono due punti di vista complementari. Per chi ha letto Sennet può essere interessante completare il percorso e leggere il mio libro.

4.
BS: L’idea dell’innovazione nelle mani degli italiani – visti gli ostacoli infrastrutturali e burocratici del nostro paese – non è un po’ troppo ottimista, visto anche che questi stessi fattori l’hanno finora strangolata?

SM: Il nostro paese ha molti problemi e da qualcosa bisogna pur partire per immaginare un suo rilancio. Il libro è un segnale interessante per chi si confronta col tema della ripartenza. Come chi deve attraversare un corso d’acqua, deve decidere il sasso dove appoggiare il piede per fare un salto e passare dall’altra parte, anche il nostro paese deve decidere dove trovare punti d’appoggio affidabili. Non dico che questo sia l’unico sasso possibile, ma è certamente uno di quelli buoni.

5.
BS: Tu sei a contatto con i giovani, il futuro della nostra società e della nostra economia. Loro come lo vedono, il loro futuro? Piace l’idea di un futuro artigiano?

SM: Per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di una nuova idea di lavoro. Oggi più che parlare di lavoro, parliamo di contratti di lavoro. E’ una cosa un po’ diversa. Per ricominciare a ragionare con i giovani dobbiamo spiegare cosa farà concretamente una generazione negli anni a venire. Il pubblico giovane che ha comprato il libro lo ha fatto perché si chiede “cosa farò otto ore al giorno?”. Va tenuto conto che i ventenni di oggi sono la prima generazione pienamente digitale e per loro la scoperta del fare e del fare con le mani è una scoperta eversiva e anche in molti casi entusiasmante.

6.
BS: Noi in Berto Salotti abbiamo avuto una eccellente esperienza con i tuoi studenti a Meda. Trovi che il mondo dell’artigianato abbia modo di avvicinare i giovani secondo un percorso virtuoso, o ci stiamo ancora scontrando con l’invio dei CV a cui nessuno dà risposta?

SM: Cominciamo a parlare di new economy manifatturiera. Questa comporta un diverso atteggiamento dei nostri giovani verso il saper fare e verso la produzione. Invece di parlare sistematicamente di un’Italia rinunciataria e renitente alla modernità,  dobbiamo dire ai nostri giovani che là fuori c’è un tesoro da valorizzare, che le aziende come Berto e quelle di tanti altri distretti italiani sono ciò che il mondo ci invidia e che in un’economia globale ci sono grandi possibilità di crescita. Se forniamo ai giovani un quadro positivo mettiamo in moto energie nuove. Una cosa ci tengo a sottolinearla: non è che tutti i giovani devono diventare artigiani! Il senso del mio libro è un altro. Dobbiamo riconoscere nel lavoro artigiano un tesoro con cui mettere in moto l’economia.

7.

BS: Italia vs. Resto del Mondo: il tuo libro ha pagine molto incoraggianti sul futuro del nostro paese, leggerle mentre le agenzie di rating ci massacravano faceva un certo effetto… cosa ci puoi dire di questa apparente contraddizione?

SM: Se andiamo a vedere come è stata misurata la capacità di innovazione negli ultimi 10 anni, scopriamo che siamo sempre stati considerati gli ultimi della classe perché siamo stati valutati sulla base di variabili molto legate alle logiche dalla grande impresa e dalla finanza. Oggi che persino gli Stati Uniti si accorgono dell’importanza del fare manifatturiero nei processi di innovazione, ecco che ritorniamo ad essere un paese interessante, da studiare e da guardare in modo diverso.

8.
BS: Immaginiamoci un futuro in cui la tua tesi si sia affermata, in Italia e nel mondo, e che il nostro paese abbia saputo “costruire l’innovazione con le proprie mani”. Quali tra questi driver saranno stati più rilevanti secondo te: politici, aziende, trend globali?

SM: Direi sicuramente che se qualcosa cambierà sarà per un cambiamento culturale dal basso. E la rete sicuramente ha un potere enorme da questo punto di vista. Da economista, dico che uno dei nodi su cui si gioca il nostro futuro (e il futuro del lavoro artigiano) è quello della distribuzione. La nostra distribuzione è figlia di un modello tipico della produzione di massa. Se noi vogliamo pensare a una valorizzazione del valore artigiano su una scala diversa da quella che oggi sperimentiamo dobbiamo innovare nella distribuzione e, in generale, sul fronte della comunicazione del prodotto, della logistica, del commercio elettronico.

9.
BS: Settimana scorsa a Roma c’è stata una grandissima manifestazione, il World wide Rome, che ha avuto come protagonista Chris Anderson, il quale afferma che l’Italia potrebbe diventare la patria dei makers. Ma noi non siamo già la patria di eccellenza della produzione artigiana?

SM: Questa è la tesi del libro: noi siamo già la patria dei makers, il problema è che non lo abbiamo realizzato. Questa tesi è anche una provocazione. Stiamo dicendo che i nostri artigiani non sono solo custodi della tradizione, ma sono innovatori nella globalizzazione. Questo è un cambio passo importante rispetto a una caricatura della figura di artigiano molto legata a Geppetto, una caricatura che oggi va strettissima a tantissime piccole, medie ma anche grandi imprese che han fatto del lavoro artigiano il proprio vantaggio competitivo.

L’artigiano innova attraverso gli strumenti del suo lavoro, i nuovi materiali, nuovi modi di lavorare. Il lavoro artigiano non è custodire acriticamente il passato; piuttosto, è rinnovarsi nel tempo e accettare la sfida della tecnologia. Dire che in Italia siamo la patria dei makers vuol dire scommettere sulla rete e sulle nuove tecnologie in generale. Significa dire che i nostri artigiani non sono i protagonisti della decrescita (infelice), ma sono i protagonisti di una nuova rivoluzione industriale centrata su una nuova idea di lavoro e di valore.

10.
BS: So che con Stefano Maffei state organizzando un Fuorisalone speciale quest’anno. Ci vuoi dare qualche anteprima?

SM: Abbiamo immaginato una mostra che ha un titolo abbastanza esplicito: AnalogicoDigitale. Il progetto mette insieme la tradizione artigianale italiana con le nuove potenzialità delle tecnologie tipiche dei makers: le stampanti 3d, i laser cutter, le nuove macchine a controllo numerico che oggi popolano i vari maker shop, fablab, ecc. L’idea è quella di far incontrare questi due gruppi, anche fisicamente, attorno a degli oggetti che poi verranno presentati durante il Salone nella seconda metà di Aprile presso la galleria Subalterno 1, zona Ventura a Milano. Credo che sarà un’occasione interessante per vedere mescolate persone che si conoscono poco, ma che hanno ottimi motivi per stare insieme.

14 commenti su “10 risposte per un “Futuro Artigiano” con Stefano Micelli.”

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  4. Massimo Bianchi

    Molto interessante l’intervista per i contenuti che esprime. La centralità del lavoro concreto, del saper fare con le proprie mani (e con la propria mente, non creiamo dualismi in proposito, è davvero l’obiettivo che ci si deve porre per risalire la china, per ripartire, come si dice opportunamente. Ma dobbiamo essere consci al tempo stesso che il contesto, economico, politico e istituzionale, non appare troppo favorevole, nel senso che, purtroppo, troppi soggetti accreditati, “tecnici” e non, agiscono, almeno nei fatti, in una direzione opposta, una direzione che finisce per mortificare anziché sviluppare le forze produttive nel loro insieme, comprese quelle artigiane. Sarebbero ben altre le ricette di cui la nostra economia avrebbe bisogno, puntando in primis sul rilancio dei consumi e sull’allargamento della base produttiva.

  5. Benito Azzoni

    A mio parere nel futuro immediato e a lungo termine, nessuna Innovazione avrà successo se non troverà un’Economia che produce Ricchezza perchè produce “Energia Rinnovabile”
    Non sono un istallatore di produzione di Energia Alternativa.

  6. @Edmondo:
    Spesso la ricerca del “primo prezzo” porta un risparmio nel breve termine, ma una perdita nel medio/lungo termine. Mi spiego con un esempio: acquistare una poltrona da 500€ che dura 3 anni non è un buon investimento se paragonato con l’acquisto di una poltrona artigianale che costa 1.000€ e che dopo 10 anni è ancora perfetta e comoda.
    Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare: preferire gli oggetti che durano agli oggetti usa e getta è un modo per premiare la filosofia del “fare” tipico degli artigiani.
    Tutto questo non è assolutamente in contrapposizione con la tecnologia, anzi: la grande sfida che alcuni imprendiori artigiani hanno raccolto è trasferire la sapienza artigiana nel mondo delle nuove tecnologie e della nuova comunicazione.
    Un grazie a Filippo che mi ha insegnato tutto questo durante il mio “soggiorno” nella realtà del Made in Meda.
    Abbiamo seriamente la possibilità di ripartire.
    E la strada passa attraverso la realtà artgianale.

  7. Edmondo Famularo

    Tutto molto bello ed interessante, certamente la manualità offrirà la possibilità di creare posti di lavoro ma, purtroppo, la realtà ci conduce sempre al risparmio anche a discapito della buona qualità. L’artigiano occupa una ‘nicchia’ nel mondo della produzione!!

  8. Si il discorso fatto è interessante, ma ritengo che per valorizzare l’artigianalità dell’italia servono mani, giovani e vogliose di fare questo lavoro,(l’arigiano), peccato che i giovani sono sempre alla ricerca del lavoro e solo quasi sempre attraversso il CV ma quasi mai a mettersi in gioco sul serio “facendo” cioè “lavoro per imparare”,”lavoro per creare”. Il titolo di studio è importante vero, ma anche saper far “andare le mani ” lo è, oggi più di ieri, questo è il problema che abbiamo. Poi certamente far arrivare la fatica quotidiana e il risultato di ciò,al mondo, è importante e qui internet può dare una grossa mano secondo me, che per arrivare a comprare un semplice divano prima ho girato il web, per andare quasi a colpo sicuro.Spero di aver espresso il mio pensiero in modo semplice e chiaro.

    1. È vero, e da qualche partedobbiamo ripartire!

      Sarebbe bello portare Joey Hudy nelle scuole italiane con il suo semplice ma efficace “don’t be’ bored, make something!”

      https://blog.bertosalotti.it/index.php/adesso-silenzio-per-favore-ce-un-14enne-che-ha-qualcosa-da-insegnare-a-tutti-noi/

      Esiste un “programma scuola” comunque e spesso alle medie andiamo con i miei colleghi a presentare il mondo delle pmi artigiane come bello e possibile per il loro futuro.

  9. Ottime riflessioni fatte da un giovane economista, non abbagliato dal mito dei mercati finanziari, che ci hanno portato dove siamo. Auspico una stretta alleanza tra mondo manufatturiero, economisti e progettisti per una concreta innovazione artigianale. Il paradigma che regola i mercati ( il Tanto a poco prezzo) si è rilevato devastante. Ricominciare a ragionare in termini di qualità, utilità, estetica del prodotto pone le basi per un rinnovamento della mentalità corrente. Auguri!

  10. sono contento di cio che ho letto attra veso lintervista essendo artigiano dal 1982 nel campo del mobile imbottito ma dispiaciuto perche da 3anni a questa parte il lavoro comincia a non esserci francesco scarpino artigiano saluti

    1. Filippo Berto

      Maria Beatrice, ti invito all’evento Fuorisalone che Maffei e Mielli hanno chiamato Analogicodigitale . Potrebbe essere un punto di ri-partenza interessante e sarei lieto di conoscere il tuo punto di vista

      Francesco, il cambiamento è difficile ma offre sempre opportunità, non molliamo!

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