Berto40: la consapevolezza e la responsabilità di Filippo Berto

L’ultima intervista è dedicata a chi orchestra, giorno dopo giorno, tutti i “ragazzi” che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi. La sua azienda è nata ancor prima che venisse al mondo. Si è nutrito di imprenditorialità artigiana sin dalla più tenera età, ha sperimentato, rischiato, innovato. Oggi guida con orgoglio e visione l’azienda di famiglia e i suoi  “ragazzi”. Il suo nome è Filippo Berto e questa è l’ultima intervista Berto40.

Nome: Filippo Berto

Professione: titolare BertO

Segni particolari: visionario, inquieto, flessibile come una cinghia elastica, veloce come una sparapunti in azione e un grande talento imprenditoriale (anche se a lui non piace questa definizione)

Anni di attività alla BertO: 19

Filippo Berto - BertO 40

Riesci a risalire al tuo primo ricordo dell’azienda?
Ce ne sono tanti, faccio sinceramente fatica a metterli in ordine cronologico.
C’era una scala che portava alla bottega, quando ancora mio padre e mio zio lavoravano in cantina e la nostra casa era appena al piano di sopra. Erano i primi anni Ottanta. Forse l’83. Insieme a mio padre e mio zio c’erano alcuni dei “ragazzi”. In quel periodo sostavano sulla scala, intorno alle 13.15 dopo la pausa pranzo e subito prima di mettersi a lavorare. Io li raggiungevo per tirare calci al pallone con loro. Volevo far parte del loro gruppo. Secondo me erano dei gran fighi e io volevo essere come loro. O ancora, scendevo in bottega e facevo finta di lavorare con loro: stacchettavo, pistolettavo, prendevo anche delle belle pedate. Attraversavo la ditta e gli operai mi sparavano le punte. Era il nostro modo di giocare. In una guerra di pistolettate, un giorno ho preso la pistola della colla e ho riempito la testa del Bicio. Mi ha rincorso fino al portone e me l’ha fatto attraversare con un gran calcio nel sedere. Questo è l’ambiente dove sono cresciuto, dove il rispetto te lo devi guadagnare. Volevo fermamente essere lì con loro, lavorare al loro fianco e far parte della squadra. Flavio, Gigi, Carluccio, Bicio, Alessandro. Era l’83. Hai presente la canzone “vado a scuola prendo 4, al lavoro prendo calci…” (ride).

La visione è in capo a te. Ci descrivi tre momenti che hanno portato la BertO a svoltare?
Vado per punti:
1- Non ci sarebbe stato nessun inizio senza un’idea. Come è nata l’azienda? Con la voglia di lavorare, tanta voglia di lavorare, di sacrificarsi, di partire da zero, di imparare e acquisire abilità che servono anche oggi. Quella forza e  intraprendenza, la necessità di provarci e di lasciare il segno. Era un bel mettersi in gioco.

2- L’aver abbandonato lo schema “lavorare conto terzi” per grandi aziende dell’epoca. Fare una cosa del genere all’epoca era da pazzi. Significava rinunciare a volumi, alla possibilità di strutturare la tua azienda sulla base di questi volumi Quel tipo di lavoro, dal punto di vista della dignità, ti lasciava ben poco. Eri un produttore in mano di altri che decidevano della tua vita e del tuo futuro. Questo scatto d’orgoglio ci insegna oggi ad osare e non aver paura di cambiare. Negli anni settanta era diverso, oggi è molto più rischioso.

3- Collegare la nostra piccola azienda alla rete, con la nostra storia, le nostre idee e la rivoluzione che ne è conseguita. Tutto questo ci ha portato a non rinunciare alla nostra identità, ma anzi a mostrare con orgoglio chi siamo e raccontarlo al cliente finale.

Dai, una quarta svolta.
Mi riguarda molto da vicino. Lasciar spazio a una nuova generazione. Nei panni di mio padre non so quanto avrei lasciato spazio a uno come me. È l’insegnamento, la capacità di vedere nelle persone dei talenti, delle opportunità, anche se primordiali. Sono passati 16 anni e grazie alla visione, al rischio e all’apertura abbiamo fatto la nostra piccola storia.

I meriti?
Di tutti, dal primo all’ultimo.

Quando hai iniziato a sentire l’azienda come tua?
Quando ho iniziato a vedere i primi risultati con internet. Quando vedevo che il camion scaricava il doppio dei fusti rispetto a prima. Quando dicevo a mio padre “una montagna di fusti”, il parcheggio si riempiva di clienti e in ditta probabilmente le persone iniziavano a guardarmi come quello che stava facendo qualcosa di buono, anche per loro.

Quali sono le tue grandi soddisfazioni?
Quando capisco di dare agli altri grandi soddisfazioni.

Dove ti vedi tra 10 anni?
Berto50? Una squadra ancora più forte. Mi piacerebbe fosse la stessa, ma in grande. Cresciuta.

Siamo quasi arrivati a Berto42 e questa è l’ultima intervista della serie. Quando abbiamo iniziato non c’erano alcuni dei collaboratori intervistati. Verrebbe voglia di ricominciare da capo e sentirne di nuove. Non ti pare? Cosa vuol dire aver dato voce ai BertO’s?

Berto40 è l’anniversario dalla nascita dell’azienda attraverso le voci di chi l’ha costruita.

Siamo andati a cercare di scoprire le nostre radici. Ci siamo stupiti ed emozionati ad ascoltare gli inizi da parte di chi c’era, quando io non ero ancora nato. Questi racconti ci hanno caricato di profonda responsabilità. Oggi cerchiamo di portare avanti un’azienda che è la somma di questi sforzi, di questi sacrifici, dei ragazzi di una volta, ancora oggi al lavoro. È la nostra vera leva, la vera forza che ci spinge tutte le mattine ad alzarci, ad andare avanti, a scrivere nuovi pezzi di storia che siano degni del nome che ci portiamo appresso.

Aspettavo con tanta emozione le interviste, le leggevo avidamente, ci tenevo a sentire cosa raccontavano, che cosa secondo loro era importante, cosa si portavano dietro. Se c’era un’idea comune da parte di tutti. Che poi è il mio lavoro: quello di cercare di coinvolgerli e di portarli tutti verso la stessa meta.

Una delle interviste più belle, che mi sarebbe piaciuto leggere, non ci sarà. È quella del confronto con una persona che fino a tre anni fa di diritto guidava l’azienda soprattutto nella parte produttiva e dove personalmente sto cercando di fare qualcosa di buono da tre anni.

Domanda di rito. Il tuo modello preferito?
Il divano Christian. Mi rappresenta, lo sento proprio mio. È nato dalle nostre riflessioni, l’ho seguito per filo e per segno, l’ho visto nascere dalle mie mani. Come un figlio.

BertO40: cosa ha significato?
Berto40 è la celebrazione di una grande consapevolezza che si sposa con la responsabilità e la speranza di aggiungere anni positivi e degni di tutto questo.
Sono molto orgoglioso dei miei ragazzi. In quest’anno e mezzo ci siamo guardati allo specchio e abbiamo voluto raccontare il nostro passato e le nostre origini, ben rappresentato dalla foto di mio padre con la carriola che costruiva la casa di domenica, ma anche dalle foto dei ragazzi che giocano a pallone, che si ritrovano dopo aver lavorato e lavorato e lavorato ancora, in quegli anni gloriosi.

Ha significato guardarsi allo specchio e caricarsi di grandi e nuove consapevolezze. Siamo un’azienda che mette al centro il cliente, i suoi bisogni, che cerca di entusiasmarlo, di stupirlo con prodotti sempre più belli, con servizi unici, cercando di raggiungerlo in tutte le parti del mondo.
Siamo un’azienda che vuole innovare, a cui piace andare avanti, fatta di persone che accompagnano il cliente in un pezzo di vita che sta vivendo. Sono relazioni importanti, decisive, da coltivare.

Berto40 oggi è qualcosa di molto serio, sempre più serio. Inizia a rappresentare qualcosa di significativo. Siamo riusciti a innovare nel modello distributivo, la nostra capacità di essere presenti online, siamo diventati parte di una specifica letteratura, spesso ci chiamano per raccontare come abbiamo fatto. Vedo che quello che stiamo facendo, nonostante un  mondo estremamente selettivo e duro, ha un futuro. Quello di diventare la più importante Tappezzeria Sartoriale Online.

Grazie Filippo!

Qui puoi leggere tutte le interviste Berto40.

Berto Salotti Team

Fioravante Berto

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