Filippo Berto incontra l’avvocato Paolo Marelli. Una chiacchierata su Meda e il ruolo dell’artigiano oggi.
Esiste ancora l’artigiano a Meda?
Confermiamo: l’artigiano a Meda esiste, eccome.
Solo che non si fa più vedere tanto, ha qualche problema di identità, non si sente amato. Senza contare che in alcuni casi, purtroppo, ha perso il lavoro.
C’è spazio nell’industria del mobile per il lavoro artigiano?
Bellissima domanda.
Rispondo subito in modo chiaro: senza manifattura artigiana il nostro settore muore.
La responsabilità è di chi dirige le imprese: siamo noi a dover valorizzare – oggi – quella che è stata la nostra fortuna nei secoli, il “saper fare”.
La scuola professionale riesce a formare gli artigiani come faceva la bottega?
Siamo freschi di una serie di incontri, nonché attivamente coinvolti in un progetto volto proprio a incrementare questo tipo di impatto da parte della scuola professionale, “I mestieri del Design”, quindi rispondo anche sulla scia di questi contatti.
La scuola oggi ha delle difficoltà, ma paradossalmente non vengono dalla scuola ma proprio dai giovani che tendono a non considerare questa opzione, nelle loro scelte. Ovviamente anche le famiglie sono parte di questo ragionamento, fuorviante anche se comprensibile a causa delle difficoltà del mercato.
Detto questo, la scuola sa come si fa, e lo fa bene.
Però, in un mondo iperconnesso e supertecnologico, la scuola non può essere l’unico ambito di formazione di un giovane, è indispensabile il coinvolgimento del mondo professionale, le ditte, le aziende. È nei luoghi della produzione che le innovazioni vengono applicate immediatamente, un bagaglio che non può non far parte della preparazione di un giovane, nel 2021.
Noi, nel nostro piccolo, ci siamo.
C’è ancora mercato per il lavoro artigianale?
Il mercato, oggi, è qualcosa di molto complesso.
I nostri genitori, i nostri nonni e coloro che li hanno preceduti, vendevano in ambiti vicini, a persone che incontravano e parlavano la stessa lingua, se non addirittura lo stesso dialetto.
Solo alcuni casi – i più talentuosi, imprenditorialmente parlando – si spingevano avventurosamente all’estero.
Oggi Internet ci ha messo tutti in contatto, ma anche in concorrenza.
Il mercato potenziale è diventato grande come il mondo, ma occorre saper trovare i canali per muoversi nel modo giusto.
Questa è la parte difficile, la parte che il lavoro artigianale (come tanti altri settori, del resto) fatica a interpretare.
Per chi sa muoversi in questo ambiente così complesso, c’è molto mercato.
Il “bello” non va mai in crisi, e nessuno al mondo è in grado di superare i nostri artigiani nella produzione del “bello”.
L’artigiano 4.0 come nasce, come resiste e cosa deve fare?
Tante domande, ancora più risposte.
Come nasce?
Nasce con la consapevolezza che le mani sono sempre quelle, ma tutto il resto è cambiato: dagli strumenti di lavoro (che devono includere anche la cassetta degli attrezzi digitali) ai mercati a cui rivolgersi.
Inoltre, è bene che sia consapevole del suo valore, cosa niente affatto scontata, anche a causa di aziende che non valorizzano adeguatamente il valore dei propri artigiani.
Come resiste?
Resiste guardando avanti, evolvendosi, cercando ogni giorno qualcosa di nuovo.
La caratteristica di questi nostri tempi è che nulla è mai acquisito, ogni giorno si ricomincia. Studiare, crescere, evolversi è un imperativo per tutti, artigiani compresi.
Cosa deve fare?
Deve aprirsi al mondo. Qui occorre anche un po’ di autocritica: nei nostri ambienti non si è propensi a mettersi insieme, fare rete come si dice, ognuno tende a badare a sé.
Questo non porta a nulla, la conoscenza reciproca, la collaborazione, il saper essere generosi è la strada che permette la crescita, personale e professionale. Il mondo di oggi è così.
L’artigiano è solidale o è immerso anche lui nel liberismo mainstream?
L’artigiano, come dicevamo all’inizio, è in difficoltà.
Per questo motivo tende a chiudersi in una dimensione individualista.
Occorre una rivalutazione di queste professionalità… gli anglosassoni usano il vermo “glamourize” per dire “rendere attrattivo, interessante, spettacolare”. Ecco: i nostri artigiani devono tornare ad essere i protagonisti della scena.
Solo allora potremo aspettarci che diventino più aperti e solidali.
Nel mondo del lavoro c’è ancora spazio per un po’ di spiritualità?
Il momento del riposo non può mancare dalle attività lavorative: chi non la pensa così pensa contro se stesso.
Ci sono due tipi di realtà lavorativa, a mio avviso: quelle dove la donna e l’uomo non contano nulla, conta solo quello che riescono a fare nelle ore lavorative, e quelle dove la persona è il cuore, il punto di partenza di qualunque cosa.
In BertO, cerchiamo di far si che esseri umani incontrino esseri umani: non c’è altra via per portare avanti aziende di valore… questo naturalmente è il mio pensiero, ed il mio impegno quotidiano.
Pur nella difficoltà e nell’estremo impegno che il lavoro oggi richiede, cerchiamo di non perdere mai nessuna occasione per far sentire importante il lato umano di chi lavora con noi.
E anche loro, a loro volta, valorizzano il lato umano di ciò che fanno, sia nel laboratorio e negli uffici, a contatto con i colleghi, sia nelle fasi di vendita, a contatto con i clienti.
Ancora una volta: esseri umani con esseri umani. Quello che accade tra loro (lavorazioni artigiane o transazioni commerciali) accade tra esseri umani.
Quando si ragiona così, la domanda sul riposo trova la sua risposta naturale. Solo i robot non riposano.
Il falegname artigiano era parte di una comunità e contribuiva alla sua vita e alla sua crescita, lo è stato fino agli anni 60 del secolo; gli artigiani/ industriali del nuovo millennio si sentono protagonisti di una comunità locale e intendono contribuire alla sua vita, al suo progresso, al futuro..?
Torno a dire quanto accennato prima. Gli artigiani sono esseri umani come tutti gli altri, e vivono le emozioni che proviamo tutti.
Quando siamo in difficoltà, non ci sentiamo apprezzati, viviamo situazioni di difficoltà, certo non ci viene da aprirsi all’esterno e prodursi in contributi per la comunità.
Occorre fiducia, investimento relazionale, promozione professionale ed umana nei confronti degli artigiani, così che possano sentire, loro stessi prima di chiunque altro, la loro importanza per la comunità.
La fabbrica, l’impresa, riescono a creare RELAZIONI UMANE?
Nella maggior parte dei casi, no.
Vi è però una parte dell’ecosistema imprenditoriale che vede all’opera soggetti più attenti ai valori, alle persone e ai territori.
Queste sono le aziende dove – oltretutto – le persone lavorano più volentieri, perché si sentono maggiormente apprezzate.
Noi cerchiamo, nel nostro piccolo, di far parte di questa schiera, e di far sì, tramite la divulgazione costante dei nostri valori, che anche chi fa impresa intorno a noi percepisca questa attitudine.
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